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Chiavi… al di là… di noi


chiave di burn-out di Paola Tinchitella

La chiave di Burn-out è denuncia…

Il suono che si interrompe dentro noi… Bruciarsi, ridursi alla radice quadrata del FA-RE (due note, fatalmente, verbo)… dove il numero 2 (quadrata) indica il sentirsi responsabili per due: per se stessi e per un altro di cui ci si fa carico o cui ci si lega… e la paura di non riuscire a farcela, la paura di crollare, di bruciarsi, di fallire… di non essere all’altezza del compito che ci siamo assegnati o che ci hanno assegnato. La sintesi di un binomio, l’analisi di una simbiosi… qualche volta tradisce ogni pianificazione. La chiave di violino sarebbe già musica… la chiave di burn-out è silenzio che uccide.

Dove risiede la chiave che risolve? Nel restare uno nella comunione, se stessi sempre, accogliere l’ospite con amore ma senza aspettative, fare per amore e mai fare per vedere risultati… Difficile perchè umano è errare, confondersi, bruciarsi… umano è essere fragili, umano è amare e disumano amare troppo un altro che non ha imparato ad amare e a dedicarsi all’onestà di intenti.

Paola Tinchitella – tutti i diritti riservati vietata la riproduzione di immagini e prosa


21 ottobre 2010 Reading Parole e Musica


Reading letterario in musica


Un grammo di silenzio


Sol-levante sul Basso-piano e la notte è sparita tra lo scalpiccìo di frettolosi andirivieni di passanti… passati a filo della mia vita, ignorandomi.

La mia vita è in Do e la devo prendere di petto. Quanta importanza dà l’umano al peso del dare e dell’avere! Se ti concedi ai giorni senza misura non esiste più nè meno che possano aggravare un cammino senza peso. Guarda i miei passi: sono ali capaci di  planare dopo aver inspirato l’aria circolante per lunghissimi attimi durati infinitamente… e dalla testa alla cassa toracica echeggiano nuove vibrazioni, pregne di quel che ti resta in eredità dopo che il cielo che ti guarda ti ha spolpata viva.

Consegno le corde vocali alle contrazioni nelle viscere, riposando su miscellanee di giorni vissuti e ancora da vivere. Rieduco emissioni alticce di prosa e poesia e il dramma lirico di vivere la vita con voce altisonante… stavo dimenticando quella passione che m’appartiene, unica trascodifica di intensa soavità.

Non c’è pentagramma che possa costringere il sentire e chiuderlo a chiave, tra bassi e violini. Forse sono solo un Do… senza aspettative, senza pretese… solo un Do. Mi muovo in passaggi artistici tra esacordi di rumore di fondo, quando necessario diventa volare o cadere. Pause pulsanti compresse in un grammo di silenzio, si sbriciola tra le dita il pasto quotidiano di nuove solitudini…

Guardo il buio per annullare le mie forme ma restano essenza e  suono come grida di luce.

Movimenti di cuore a dividere i giorni, ambire il LA, di tanto in tanto, come fosse l’entrata del paradiso e, varcata la soglia,  precipitare sullo squillare vuoto di un telefono.  Ascolto frequenze d’anime mentre allontano dal cospetto le percezioni sottotono.  Amo frequentare il mio stupore.

Nell’ombra alterata di febbrili giorni poco illuminati, conobbi  luce che rischiara i miei gradini…  capace di divorare l’ombra che nega ai sensi l’armonia, elevare il suono di seta di una sintonia. Qualcuno provò a strappare lo spartito…  ad isolarmi in un battito solitario, a togliermi consapevolezze… finanche la voce, continuerò a cantare di meraviglia… i bassifondi del cuore in bilico non mi fermeranno.

Ed ora

per chi muore restando in vita…

un grammo di silenzio

Paola Tinchitella © tutti i diritti riservati


Niente altro


Si rifugiava
in un sottoscala
ogni volta che la sua casa
era inondata di luce
la paura dei sensi
atterriva l’azione

In un sottoscala
l’ombra è frescura
che inficia
le percezioni naturali
dell’istinto

Attendeva
quel filo di luce
che non ferisce gli occhi
segnaletica d’una possibilità,
una strada, l’alba.

Per annullarsi
cercava la fatica
nelle sue mille forme
anche salire e scendere scalinate
era una fuga
deterrente al riposo
che genera pensiero.

La musica solo
espressione del vivere
con tutte quelle scale immaginarie
l’aggrediva dentro
tutte quelle intro
come pulsazioni cardiache
a ricordarle di esistere
finì con l’odiarla
come si odia un’agonia
prolungata, infinita.

Le macchine hanno fortuna
eseguono senza pensare
solo impulsi indotti
predeterminati, automatici
niente precede l’atto
nessun dolore
a volte calore da surplus
niente altro

“Niente altro”
per noi
confina forse con la morte?

Paola Tinchitella tutti i diritti riservati