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Back stage


 

Suoni della creazione dietro le quinte nere
eccitazioni d’aspettative
ancora il nulla negli occhi
morde presagi d’effetto
Effetti 3D dell’immaginario

La natura umana
espropriata dalla cronaca nera
e rosa
evocato il paradosso
del vivere sommersi

Gutenberg dietro l’angolo del tempo
si lascia trascinare dallo sperimentale
inquadrature di un nuovo tempo
Ritmo di uno scatto
a immortalare
la storia che immobilizza
contemporaneità da incenerire liberare l’identità sommersa dallo scoop
e dagli ola come urla
presume sacrificio estremo

 

Paola Tinchitella tutti i diritti riservati


Elements


Interrotto il dettato

dall’interno

dell’intero mio

tra i versi riproduco l’aria

volatile elemento

unico e molteplice fra  i quattro

nelle sue tasche gonfie

a trasportare

compresse

di terra,  acqua, fuoco

Paola Tinchitella©tutti i diritti riservati


Consecutio Temporum di P. Tinchitella e M. Seduta


CONSECUTIO TEMPORUM from Paola Tinchitella on Vimeo.

La consecutio temporum in latino regola il rapporto dei tempi verbali all’interno di più preposizioni, rispettando i rapporti intercorrenti tra reggente e subordinata e contempla le diverse possibilità tra una dipendente e la sua reggente; i tempi si modificano ed adeguano in relazione alla natura del tempo storico principale, indicandone la contemporaneità e/o la posteriorità.
Il gioco artistico, voluto dagli autori, sta nell’applicare alle diverse scene la consecutio temporum, considerandole come preposizioni da mettere in relazione dove la principale resta integra e le subordinate si legano ad essa indicandone contemporaneità e posteriorità al tempo stesso.
Manipolando ulteriormente il concetto della consecutio, imprimendo al titolo uno svuotamento del significato primario delle parole, plasmandole di altro senso, e raccogliendo sequenze ossessive di atti di un presente comune si oltrepassa la stessa regola, approdando su altro terreno che contempla “le conseguenze del tempo”. Si materializza un insieme di attività e processi formati da un numero indeterminato di meccanismi associati, in modo sequenziale, la normalità di gesti vissuti nel presente quotidiano diventa anomalia insopportabile se protratta nel tempo e assunta in maniera meccanica.
La ripetizione ossessiva di un’immagine, anche la più importante e significativa, provoca uno svuotamento di valore della stessa. Se poi la ripetitività di immagini contiene in sè la ripetizione ossessiva di gesti, assimilati nel quotidiano vivere, si può arrivare a dimostrare lo svuotamento di valore di ogni gesto compiuto. L’automatismo di atti compiuti, senza nemmeno più la coscienza di eseguirli, azzera gli stessi di potenza vitale appesantendoli altresì di non-vita.

Il concept trova nell’applicazione al video del collage e del decollage, tipici della tecnica pittorica, un’ulteriore potenza.
Il processo, per cui in alcune sequenze si aggiungono elementi, in altre al contrario vengono sottratte parti, amplifica lo studio concettuale circa una realtà alienante, che ci appartiene, che ci rende robotici, ci devasta svuotando di senso ogni azione, eliminando finanche il processo azione-reazione, riducendo tutto ad un processo elementare che si priva della stessa finalità immediata che normalmente contraddistingue un meccanismo.
Il video conduce in sé un’azione sistematica, ripetitiva, lacerante… inavvertita dal soggetto protagonista, che subdolamente scaverà fino alla fine.

La realizzazione del video è avvenuta in 14 ore consecutive per ottenere una stanchezza oggettivamente reale da parte della performer al fine di evidenziare un malessere psicofisico generato dall’intento trascodificato in atti performativi. Nell’intento di rappresentare il mancato processo di una verità inglobata ma mai metabolizzata viene palesato in alcuni punti l’utilizzo di effetti sonori marcatori che segnano il riacutizzarsi di un percorso preimpostato dalle abitudini.


Prosit – Line and Circle Project di P. Tinchitella e M. Seduta.


Nella solitudine tutto si rinnova, si modifica, si trasforma…tutto può amplificarsi o ridursi ai minimi termini. La solitudine tutto può: così un dolore passato può diventare ancor più assassino oppure essere sfoltito della sua tridimensionalità e diventare senza peso; così la gioia di un momento può assorbire tanta luce da diventare luminosa fino a rasentare la felicità oppure essere privata della musicalità e diventando muta, perdere maestosità fino a divenire silenziosa pace.
Ma lei è una compagna ingannevole: silenzio tra i denti, risposte mancanti, amarla è aver già perso la partita, sentirne la pace è solo sentire più vicina la morte.

La solitudine è una compagna sleale.
L’abbraccio, provando ad amarla come se non mi avesse mai offeso. La stringo a me, biblicamente ne conosco la carne ed il respiro, fatti di me.
La solitudine è una compagna sleale.
Si immola insostituibile per ogni buionotte da contemplare e poi si perde in una fuga, spergiura il non ritorno al seguito di uno sguardo. Inerpicandosi su colline mentali, illusione di vette ancora vergini, si perde sulle labbra delle stelle.

La solitudine è una compagna sleale.
T’illude che la sorte migliore sia in un mondo che ha dissipato le sue sorti. Ti guarda in silenzio precipitare nelle ombre allungate di una nuova alba, mentre le macerie di una gioia costruiscono distese interminabili, incapaci di mettere a fuoco il punto finito dell’orizzonte lontano.

PROSIT from Paola Tinchitella on Vimeo.

La solitudine è una compagna sleale.
E’ solo una bestia affamata di domani, mentre si sazia di ieri. Mentre divora l’oggi, mi rammenta di essere Idra dalle troppe teste, nove più qualcuna tanto il tempo mi avanza per contarle.
Mi guarda e mastica ore piene di gioia inghiottita dal silenzio e con la bocca ancora piena, incurante del galateo e del mio disgusto, biascica: “esci”… perché lei è compagna sleale, l’ho già detto, sa bene che se non mi lascio contaminare dalla vita, poi non saprei che farmene di lei. E’ il suo modo di trattenermi a sé, senza sentirne la prigionia. Gode mentre in ginocchio davanti a lei mi lecco le ferite.


Fossi mia figlia… (videopoesia)



KWOTEI di Paola Tinchitella e Matteo Seduta (line ‘n’ circle project)


Kwotei from Paola Tinchitella on Vimeo.
Una vita intera alimentata artificialmente dalle suggestioni dell’appartenenza, dell’appartenerci e dell’appartenuto.
La misura del vivere si pesa su bilance truccate, dove gravano solo le rappresentazioni di noi stessi attraverso quello che amiamo e cui siamo legati o attraverso quello che odiamo e da cui prendiamo le distanze.
La sete di appartenere ad un gruppo, l’accettazione da parte dell’altro avviene sistematicamente attraverso quello che riusciamo a far rientrare nelle nostre scelte, mai libere ma condizionate dall’esterno. Ogni essere umano sperimentando l’adesione alle diverse appartenenze traccia la dimensione individuale e sociale della sua identità, come l’appartenenza religiosa, nazionale, politica, famigliare, di genere. In questa dinamica l’apparire si sostituisce all’essere, viviamo come surrogati di noi stessi.
Il possesso delle cose o addirittura delle persone costruisce nelle varie epoche vitali un totem personale da venerare, fino al punto di arrivare a percepire che esistiamo in virtù dei simboli che ci rappresentano.
E’ questo forse che ci tiene in vita? Quale valore assume il vissuto nel momento del trapasso? L’agonia risiede nel dover abbandonare i nostri simboli o nell’averli contemplati in vita?

La malattia e la morte togliendoci la possibilità di proiettarci in progetti futuri, allontanando l’integrità fisica e mentale, toglie improvvisamente significato alla nostra realtà intrinseca .
La paura della morte è direttamente proporzionale alla paura che abbiamo della vita: ci circondiamo di totem proprio per alleviare queste paure e senza averne percezione tutti i nostri gesti vissuti diventano un rituale propiziatorio per scacciarle.
L’uomo, giunto alla fine, sintonizzato su quel che è stato, ma soprattutto su quel che ha avuto e che gli viene sottratto in un unico atto, al momento della scomparsa si rivela solo comparsa. Quando sta per abbandonare questa magnifica gabbia conosce il valore no-sense di ogni cosa cui si è aggrappato, bisogni e sogni, ideologie e fedi, il quotidiano del cibo, del sesso, il bisogno di accumulare, il giogo delle mode e delle ossessioni… Conosce la mistificazione del tutto “avuto” che si trasforma in niente “da lasciare” quando si trova sull’ultima scena calcata. Tutto diventa frastuono, tutto il tangibile, nel trapasso, diverrà intangibile a commemorare il funerale dell’utilità che trova la tomba nel suo opposto.
La vita si rivela, sul finire della trasmissione, macchina con troppi ingranaggi. Ognuno di questi ci ha stritolati in ogni istante, con il nostro sangue ha oleato i suoi stessi meccanismi… lo sapremo solo quando non avremo più sangue a scorrer nelle vene e dovremo liquidare tutto quello che è stato… forse nel vuoto nero che segue il distacco dall’amato e dall’odiato risiede la soluzione. Il silenzio della morte, al di là di quel che potrebbe seguire, è forse l’unico atto davvero compiuto di tutta la vita.

Paola Tinchitella