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3-0


Rigurgitando il futuro

ricacci dentro il passato

In un presente nauseabondo

si cambiano le rotte

si gettano i cocci

si cancellano impronte
La violenza del rapido cambiamento

nel sogno di un tradimento

E poi

quel progetto incontrollato

arma la mano di reale

Tabula rasa il cuore

rade al suolo il pudore di un rimorso

Il tuo alibi folle tra le sbarre

non si china a raccogliere

né il sangue

né l’ombra dell’innocenza trucidata

La terra che ci accoglie

si contorce

nella sommaria esecuzione

della somma

dei nostri pochi anni.

Paola Tinchitella © tutti i diritti riservati

16 giugno 2014

“Quel pensiero è arrivato di soppiatto assieme al tam tam di guerra della cronaca nera… le righe accatastate tra i versi sono già lacrime di uno sgomento che non vuole rassegnarsi alla violenza” Think’n’Tell


Tre panchine a Villa Borghese – primo sguardo


(dalla raccolta CRONACHE DELL’ALTRO MONDO)

Paolo trangugia il fine serata in cucina. Lo sguardo annegato in una birra, l’unica birra che beve da tempo immemorabile.

E’ la stessa birra che accompagnava le sue serate con Daria, eppure le sue papille non recepiscono quello stesso sapore e né i suoi pensieri di oggi riescono ad evaporare. La testa resta ancorata, saldamente, alla bottiglia scura e niente ha più la soffice ebbrezza di quelle notti con lei.

Lo sguardo vaga, rastrellando ogni mollica di pane sul tavolo, misurando ogni piastrella, ripulendo ogni macchia d’unto sui fornelli e poi, scavalcando la porta del tinello, si inchioda su un punto del muro antistante.

Sembra che quel muro stia soffrendo tanto e vibra vittima del pianto di un bambino.  Un’enorme crepa si apre sotto il martellare di quelle urla forti ed incessanti… una crepa sul muro e nella coscienza.  Il cuore accelera i battiti e batte in testa un’idea di fuga, e i mille perché senza risposta pungolano la materia grigia.

Si risveglia una consapevolezza, quella  di non essere l’anticonformista che voleva, di essersi calato in una parte di cui non conosce copione e che giorno dopo giorno deve recitare a braccio. Come può un attore, anche il più bravo o il più esperto, calcare il palcoscenico senza conoscere la parte?

Un ruolo ambiguo si è scelto in questo teatrino che è la vita, ma i costumi di scena vanno stretti a chi non ha mai accettato regole e dettami.

Come può uno spirito libero calarsi nella parte di un borghese piccolo piccolo, senza annegare nell’insofferenza al retaggio del convenzionale, del già deciso?

Questo è un sequestro di persona” trasale.

La birra ha portato solo a termine una delle sue missioni e Paolo assecondando i postumi si alza, dirigendosi verso il bagno.

Il pianto del neonato, ora, si fa più lancinante e sembra premere sulla vescica dolente.

Si ricorda, in un istante di lucidità, che quel fagotto urlante è suo figlio, figlio del suo seme e, attraversando il corridoio, si gira verso l’ombra che, nel buio gremito di assordante pianto, allatta.

E’ un presepe vivente immobile nel bel mezzo della stanza… eppure lui non si sente San Giuseppe e nè riesce a cogliere la tridimensionalità di quell’evento. Si limita a guardare come se vedesse un poster, privo della sensazione di appartenere a quel tuttuno e se un brivido di amore verso il cucciolo lo attraversa, lo ricaccia indietro sospettando che un tale pensiero possa diventare un legaccio che lo blocca di più a quella “lei”, appollaiata su una minuscola seggiola, ingrassata e stanca, i capelli riordinati alla rinfusa e fermati sulla nuca.

Sosta obbligata davanti al water e poi torna alla birra e ai ricordi frizzanti abbandonati in cucina.

Quante cose lasciate andare… strada facendo! Ma quale sarebbe stata quella giusta?”

Forse la birra bevuta a casa di Daria? Era la sua birra preferita, della stessa marca di quella che sta ingoiando ora come fosse una medicina scaduta. Era la sua birra doc… solo perché era lei a porgergliela; aveva un altro sapore… il sapore del corpo di Daria e della passione con cui condiva ogni gesto.

Ma in fondo, Daria, non era un corpo di donna come tanti? magari ben fatto, ma pur sempre una donna, una donna come tante, su cui soffermi lo sguardo camminando per la strada…

Aveva un odore quel corpo, che non aveva mai sentito prima, aveva il suo profumo d’autore che inebetiva l’olfatto. Aveva uno sguardo quel viso che non aveva mai incontrato prima. Aveva lo sguardo magnetico di una strega che strangolava il desiderio di distogliere il proprio sguardo. Aveva un sorriso quella bocca, che sembrava illuminare anche il tuo stesso sorriso. Aveva il sorriso di chi si porta un riflesso del sole d’agosto sempre a portata di mano, occultato nella borsa da mare.

Paolo sente che tutto questo è rimasto irrimediabilmente attaccato alla sua pelle. In un attimo il desiderio di una sensualità sepolta torna a galla, come sospinta da una forza malefica.

Ma quale sortilegio sta dannando l’anima?

Il libero arbitrio: con Daria era stato libero di andare e di tornare, mai in catene. Libero di far capricci da bambino e di improvvisarsi uomo navigato.

Libero di amarla e poi di odiarla. Libero di starle vicino e di tenerla a distanza. Libero di annegarla con le parole e di avvilupparla nei suoi silenzi.

Libero di rotolarsi con lei su un prato di fresche risate e di annaffiarla di lacrime di straordinarie prese di coscienza.

“Questa birra fa schifo… è troppo amara!” la guarda come guarderebbe al suo ultimo desiderio un condannato a morte.

‘Basta, basta… basta!’

Si accende una sigaretta, ma non è sufficiente per sentirsi libero in questa notte. Lancia uno sguardo al poster di un presepe mai realizzato e un attimo dopo è per strada. Fruga la notte, a cercare un indirizzo diverso tra crocicchi di convincimenti. Si ritrova in un frammento di tempo seduto sulla panchina del grande parco.

“Perché ho sequestrato alla Vita la mia stessa vita?”

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Tre Panchine a Villa Borghese – terzo sguardo


Loredana è esausta, affranta… i suoi nervi cigolano come le sue mandibole contratte. Quel bambino non ne vuol sapere di star zitto, nonostante il suo latte.

Non molto tempo fa si era sorpresa a credere che la felicità fosse tutta racchiusa nella fertilità della sua giovinezza, nella promessa di un frutto che crescendo l’avrebbe sfamata.

“Sono vecchia invece, triste ed infelice come un anziano che sa di aver un piede nella fossa e si affanna a vivere!”

Un giorno aveva creduto in due cuori ed una capanna. Oggi guarda ad un presepe vivente immobile nel bel mezzo della stanza… eppure lei non si sente Maria e nè riesce a cogliere la tridimensionalità di quell’evento…..

Quel passaggio di Paolo nel corridoio, con lo sguardo angosciato e la porta sbattuta dietro lui, l’aveva fatta sentire in catene, bloccata ai suoi capezzoli prodighi di latte.

Ha amato Paolo in modo sguaiato ed immaturo, e pensava di amare quella vita che doveva arrivare con tutte le sue forze ed ora quelle forze vengono meno.

Il cuore accelera i battiti e batte in testa un’idea di fuga, e i mille perché senza risposta pungolano la materia grigia.

Bacia, più volte, le guance turgide di quel faccino incomprensibilmente arrabbiato,  mentre succhia e sente i suoi seni e tutte le sue carni divenute molli. La sua giovinezza sequestrata dall’ombra di una borghese normalità.

“ Basta, basta… basta!”

La rabbia la rende una fiera in cattività e come in preda ad una fame atavica si lancia sul frigorifero, scarta il cibo aggirandosi con le mani tra involucri e contenitori. Le mandibole nervose a masticare pezzetti di vita smarrita, con l’angoscia di una leonessa in gabbia che sbrana il cibo in un odiato trogolo.

“Questo è un sequestro di persona” trasale.

Ha voglia di scappare, di gridare, di abbandonare quella prigione, ma quel pianto ininterrotto le para davanti il vessillo pesante della responsabilità.

Depone Fabio nella carrozzina.

“Forse una passeggiata lo farà calmare”

Arrivata al parco, siede su una panchina illuminata da un fioco lampione e comincia a ninnarlo.

“Perché ho sequestrato alla Vita la mia stessa vita?”

selezione di racconti tra reale, surreale e iperreale

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Smarri/mentale


Smarriti i natali
dispersa l’età

esperiti disinganni
dell’esperienza della paura
sono gli inganni

Sei sole e sale dentro gli istanti

Se il tempo fosse solo
senza di te

Se il tempo fosse solo
clessidra da girare
la lascerei immobile

Tempio desolato
immemore dei giorni… per giorni a venire.

Sventrare fittizie lontananze
sventare le mie immobilità
respiri arresi in sospiri mancati
Similvita  di spasimi mentali
necessarie onomatopee
sussurri cancellati
in desideri manomessi

graffianti i compromessi.
Similpelle… la mia
se si nega già al sorriso
d’un giorno sconosciuto
mai investito
su incidenti di parole accidentali

Vorrei negare me e l’essere inscindibile
implicito nel legame… l’essere in te
Lacrime a lavarti
quando l’averti non m’appartiene
Smarriti i natali in mobili terre
dispersi i ruoli tra nuvole di te
inconsapevoli distanze
arretrano vicine
conto il battito d’ali
d’essenza in volo
plasmando l’aria… fremo di te.
Paola Tinchitella © tutti i diritti


Sciarada


Scoprirne la combinazione e le non-parole, le tante poche parti ed il totale… dimenticatoi invadenti.
Recidi pure i fiori… si può potare la memoria dai ricordi imperituri?

Unica destinazione: finire… e tacerne la fine.

Bouquet omaggio del pensiero al pensiero collettivo, quasi corolla di valenza positiva… e dietro le quinte il suo soccombere, come le ali spezzate di un pensiero che resiste. .. nemmeno caducità delle cose, pre-valenza negativa di un addio insito in ciò che muore, perché ciò che muore presuppone che sia vissuto anche solo un attimo… prima.

Così non è?

Corolle di finzione, depredate del profumo, incapaci persino di marcire, immemori dell’aria intrappolata nell’istante. Scelte di plastica… il loro non concepire coaguli maldestri che ribollono “dopo” in urne consacrate.

Sconsacrato sarà già il ricordo, servire un’alacrità inutile perché?

Lui qui già non “è”…non è necessario che “non sia più”. Umani lo depredammo del suo odore, colore, sapore… mosso il primo passo a favore del rifiuto, ed è discarica il suo cimitero…

Colori finti. Inventati e tralasciati… non sanguinano… non vibrano… non deteriorano… di loro stessi sono “privi” dimentichi di vita. Vita è già memoria nel presente come potrebbe possederla l’oggetto che non l’ha mai posseduta?…se non nelle mani sconosciute… nel respiro metallico di messa a punto …in catene di montaggio.

Sottratta è la tridimensionalità, luogo grezzo, apparentemente asciutto,
supporto statico… solo… non-luogo
astratto e piatto per cromatismo, spirale che intrappola fasi
dissolutiva e…costruttiva azione dell’evento improvviso,
intangibile perché non convenzionale.
Sovrastare quella terra, isola che non c’è …spremendo tutto l’immaginario che c’è… tutto l’inocularsi del possibile dentro, filtrare quel razionale a trattener le scorie di impurità emozionali.
Percorro la strada e mi chiedo cos’è quel che non riesco a guardare, quel che mi fa abbassare lo sguardo?
Ci vorrebbe un luogo capace di disconoscere la memoria, di lasciar marcire i ricordi,
modalità interiore…inodore, incolore,
un luogo permeabile… a lasciar scorrere, per perdersi altrove, umori eventuali, tra le sue pieghe di corazza carsica.

Dimenticatoio o foiba… forse non cambia.
C’è più memoria nel tentativo di iconizzare un siffatto non-luogo che in tutto quello che la storia ci tramanda, compresa la storia personale e non solo quella universale.
Il rammentare spaziale questo luogo, abbandonato da qualsiasi dio e qualsiasi uomo, forse è evocare la stessa memoria che fermenta a dispetto di ogni tentativo di credere nella possibilità di questa strada alternativa.
Il tempo torna, giocando a nascondino con lo spazio circostante. Il tempo torna sempre a completare lo spazio. Tesse la sua ragnatela di sottili verità passate già di moda. Un tempo di ragnatela che, meditata o impulsiva che sia, ha il suo tempo necessario per formarsi e, a volte, è lo stesso pensiero involontario, irrazionale a tessere quei fili… nel tempio immobilizzato dalla sottrazione del carpe diem alla somma delle possibilità.
Mi fermo ancora un po’ a leggere il silenzio che impregna… che spacca, quel seme di dolore e tristezze antiche, quella sì è ancora vita… e mi chiedo se davvero esista la possibilità per la memoria di esser resettata… se è solo un difetto da correggere la non-dimenticanza, se errore è essere immuni dal richiamo del suo svuotarsi… se in un ricordo c’è un universo vissuto al di sopra degli schemi… non vorrei mai perderlo… anche se è dolore

Paola Tinchitella tutti i diritti riservati

“(…)Corrugo la vita sulle preoccupazioni presenti… ci sono solchi che partendo dallo sguardo arrivano fino alla punta dell’alluce. Non smentirò niente, ricordando supererò il mio presente.
Memoria coagula in quell’inizio di vita rappreso, vilipeso e offeso. Fecondare opportunità non vuol dire vederne nascere il risultato. A volte abortisce anche un pensiero, figuriamoci un futuro mai nato.
Rappresaglie di mesi in fiumi di noncuranza, negligenze della speranza che incrocia le dita e poi ti volta le spalle.
Uno strappo al cuore dolente sanguina in sordina, mentre uno strappo al pudore del silenzio… dà fiato alle trombe. Eppure è già così lontano per amarne il suono d’esistenza e si confonde ad un infante cielo… infausto.
Beato chi non s’accorge dei passaggi e delle ouverture
beato chi non s’accorge degli eventi e delle uscite di scena prima dell’apparizione
beato chi non s’accorge delle croci infilzate in corpi che da tempo hanno smesso di pregare… delle vie crucis condotte in solitudini amniotiche… dei camposanti che riposano nel ventre.(…) “da Orior

“Nostalgie genuflesse ad un ricordo… idolatria della speranza, questa pazza illusione che si crede immortale solo perchè hanno diagnosticato per lei che debba essere l’ultima a morire. Qui la speranza giace addormentata da mille anni. A lei questo epitaffio”


Chiavi… al di là… di noi


chiave di burn-out di Paola Tinchitella

La chiave di Burn-out è denuncia…

Il suono che si interrompe dentro noi… Bruciarsi, ridursi alla radice quadrata del FA-RE (due note, fatalmente, verbo)… dove il numero 2 (quadrata) indica il sentirsi responsabili per due: per se stessi e per un altro di cui ci si fa carico o cui ci si lega… e la paura di non riuscire a farcela, la paura di crollare, di bruciarsi, di fallire… di non essere all’altezza del compito che ci siamo assegnati o che ci hanno assegnato. La sintesi di un binomio, l’analisi di una simbiosi… qualche volta tradisce ogni pianificazione. La chiave di violino sarebbe già musica… la chiave di burn-out è silenzio che uccide.

Dove risiede la chiave che risolve? Nel restare uno nella comunione, se stessi sempre, accogliere l’ospite con amore ma senza aspettative, fare per amore e mai fare per vedere risultati… Difficile perchè umano è errare, confondersi, bruciarsi… umano è essere fragili, umano è amare e disumano amare troppo un altro che non ha imparato ad amare e a dedicarsi all’onestà di intenti.

Paola Tinchitella – tutti i diritti riservati vietata la riproduzione di immagini e prosa


Dislegia notturna


dislegia notturna by Paola Tinchitella

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La notte

tutto intorno è silenzio

ticchettio di pensieri distoglie pupille

s’interrompe la lettura

dell’armonia bramata.
Tictac recidivo… a violentare il vuoto.

Violenza carnale di un sogno, coitus interruptus…

onanismo condotto dal reale.
Nessun nesso logico accompagna il sonno,
suoni riavvolti su spolette di giorni.
Lettere casuali si accalcano
e-pistole inconcludenti e mai spedite
tutto è possibile se non segui la ragione.

Prigione il vero… sparategli addosso.

Paola Tinchitella


A testa in giù…


Petali di Cielo by Liliana Russo

Al di sopra delle nuvole stringevo la tua mano, con occhi stracolmi di un tramonto a testa in giù, per tutte le albe rovesciate che di te mi sono persa.  Mi dondolavo in quel cielo dove tutto è possibile, tra nubi a pecorelle… smarrito ormai il gregge di omologati amori vissuti sulla superficie della pelle.

Lo ammetto… vorrei mettere la testa a posto, ma lei rotolando scivola altrove e puntualmente mi ritrovo ad avvitare pensieri inconcludenti; logore le impanature per colpa di un cuore che resta sempre lì, in quel solito posto, a guadagnarsi qualche pulsazione in più, così disperatamente immemore e smemorato dei retaggi culturali… non riconosce come storia lo sguardo tramandato dal mondo, incancrenito e svuotato per colpa di troppe regole. Vorrei regolamentarmi, fissare divieti di transito e di sosta per emozioni fondiefilano che si intrecciano a questi cirri sfiorando oblò e pori 3D.

Sorvolando la terra mi sento fertile di risorse nuove, molto più di quanto lei stessa ne sia capace, e attendo un atterraggio morbido su piste di metamorfosi sensoriali… attendo nuove ipotesi che non restino solo teorie a mezz’aria. Attendo un nuovo percorso senza destinazione che mi trascini lontano dai tuoi occhi ma non da te… una soluzione che includa te in questo abbraccio nuovo, rifiutando i miei turbamenti ingestibili, omettendo il deragliare di passioni kamikaze.

A terra farò ricorso a stringhe di letterate costruzioni ermetiche e stringate (stringo i denti mentre mi domando se ne sono mai stata capace). Lascerò libera la parte più buffona, l’eteronimo di me capace di deridermi e tra risate giullari inghiottire lo spasimo di uno scarto di giorni, mesi, anni… che ci dividono.

Intanto… volo in un questa trama d’uncinetto: dritto e rovescio, catenelle e punti tralasciati. Quassù posso sperare di amare senza curarmi delle proporzioni di spazio o di tempo, l’unità di misura è congettura umana che non ammette “ricorsi”… faccio ricorso al mio coraggio di stringere quel “senso” capace di spaziare oltre queste righe.

Contemplo il tuo respiro, ascoltando il mio… lo filtro tra lacrime di gioia che ho trattenuto ai bordi di un incontro infinito…

Procurami, ti prego ora, una sola lacrima di dolore che sappia spezzare in due questo cuore di pane e farti sgusciare via… in fondo ad un pensiero da accantonare, dove io non possa più trovarti.

Paola Tinchitella.. @tutti i diritti riservati


Com-Ire


Comizi
su piani di cuore
piazze aperte
su brusii di pensieri
deliri accalcati
su strati di mente
e a destra
e a sinistra
folle di speranze ancestrali
disperse.

Promesse
di emozioni migliori
come incentivi ai salari
di una magra ratio
e…
al centro
un invadente presente
coagulato nel foro
dell’ultimo proiettile
che trapassando i giorni
ci ha perforato.

Comizi d’amore
in razioni di niente
urlati in sordina
soldati in trincee
d’ataviche accettazioni
incosciente adattamento
al peso di eredità
abitudinarie
di tramandate tradizioni…

Cultura obsoleta
paura di ag-ire
matita che disegna
invalicabile muraglia
icone in mattoni
gli sguardi uccisi
infilzati da bandiere
di un quieto vivere
e quel po’ di pace…
che olezza la fine.

Paola Tinchitella© tutti i diritti riservati

9 luglio 2009


Shhh…


Cordoni di parole logore
e nodi d’incomprensibili rancori
di loro
mi legasti le caviglie
per trascinarmi giù
eppur da tempo
mi muovevo agile
nel tuo nero abisso

Guardi la superficie dell’aria
incresparsi di marosi ingiusti
e ascolti lo strozzarsi
della voce del vento
sperperi di verità viziate
dallo scorrere
di un tempo odiato

superato dalla velocità della resa
il tempo d’un tempio amato

Zittisce la fame
al cospetto
di un indice puntato
e poi spronato
su labbra ingrate
dalla volontà dell’arroganza

ormai è lei a condurre il gioco…

Messaggi cancellati
con polpastrelli duttili
e trattenuti
nei pugni stretti
massaggi
attorno a vuoti replicati

replicanti i preconcetti
i presupposti rispolverati
dalle congetture

troppe le sovrastrutture
a generar statistiche fallimentari
… quel razionalizzare

Sviolinate al seguito
di violazioni a domicili soavi
violenze di residenze

lì convivevano
i nostri giorni migliori…

Ma sì,
sopravviviamo deambulanti
aggrappandoci
a valutazioni di risultati

…abbiamo permesso
agli obiettivi di autoderubarsi
dell’infinito possibile

… l’impossibile,
cui puntavamo lo sguardo ieri
pieno di risorse,
guardalo…
è sfinito
dalle oratorie convincenti
sferrate in abbondanza
per riempire il precipizio
del narcisismo imbavagliato
troppo a lungo

Sbanda l’affetto misurato
mendicante avaro
e trasformista pronto
s’improvvisa… già
“affettazione”
solleva dalla caduta
la possibilità di un’altra porta da aprire
per allontanarsi o forse

morire

Harem di tentativi
a danzar nel gelo
delle amputazioni

a librare impavida l’idea
della forza concentrata
in una gamba sola
compagni di performances
quei deformati consigli
suggerimenti da moderni conigli

e saltellino pure in un’altra menzogna…
senza batter ciglio
mentre  i loro capricci

battono i piedi sul ciglio di un altro ospite

Preferiranno
la vergognosa irrealtà

del furbo compagno di banco

al vero pianto in agguato

sul finire di un sogno
………
‎la libertà di volare
a quattro ali
muore essiccata
da un pensiero univoco
nel deserto individuale
dell’appropriazione indebita
d’immagini compresse
in colla sensoriale

e solo ieri
ci teneva
l’uno contro l’altro

Idee smantellate
e riposte in magazzini in disuso
genialità già brevettate
ricomposte in sequenze
rimodernate

… ascolta questo silenzio
quanto avrebbe da dire..
.


tanto da far tacere
cloache improvvisate tra le labbra
che defecano insane
per seppellir germogli
… nel punto esatto
dove la sintonia aveva edificato

E’ giunta l’ora
di fermarsi nelle mie oasi

è giunta l’ora di ripararsi
dentro il mio cielo terso
… quasi li stavo dimenticando
quando presi a camminare
nel deserto dell’inesistente umano.

Paola Tinchitella tutti i diritti riservati