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24 dicembre 2016


Eppure continui a nascere

Sotto le bombe e i ponti

Nelle baracche e nella stiva di una nave

Dietro le sbarre e in una notte nel deserto

Davanti ai negozi e alle stelle di Natale

Tra le persecuzioni e il terrore di un odio disumano.

Eppure continui a nascere

Dentro un pensiero e in mezzo al cielo

Davanti ai calcoli e alle contraddizioni

Sopra le troppe parole dei potenti

Nelle doglie di guerre e di conflitti

Davanti alle inquietudini dei troppi ammaestrati.

La gioia affoga nel lago d’immondizie quotidiane,

nell’indifferenza di un egoismo atavico

nel perverso incancrenirsi della corruzione

nelle tante coltellate all’idea di pace ed uguaglianza

nell’odio smisurato di un’umanità al macello.

Ti prego dimmelo

Dimmelo stanotte

In un vagito

Perché non trovo né vallata né anfratto

Per quell’Amore che hai inventato Tu.

Paola Tinchitella © tutti i diritti riservati


dedica a CRONACHE DELL’ALTRO MONDO


“Refusi… un po’ meno tra i fogli, un po’ più dentro di me.”

Così potrebbe aprirsi questa raccolta di racconti

 

 


Applausi


Vite macerate
da tornaconti personali
Parabola di un vissuto
taciuto
resta il silenzio
in cui vi nascondete.
E mi domando come facciate
a vivere
nel rumore assordante
della muta omissione.

Seduti su comodi divani nuovi
delle vostre  case rinnovate
non badate all’urlo
di chi
non abita
nell’abitudine
di una menzogna.

Stillano lacrime denaturate
dai vostri sguardi contriti
erigendo il recinto
intorno all’altro
per non cadere
nella sua stessa fossa.

Paola Tinchitella © tutti i diritti riservati

 

“la poesia rafforza le difese immunitarie contro il disumano”Think’n’Tell

 


3-0


Rigurgitando il futuro

ricacci dentro il passato

In un presente nauseabondo

si cambiano le rotte

si gettano i cocci

si cancellano impronte
La violenza del rapido cambiamento

nel sogno di un tradimento

E poi

quel progetto incontrollato

arma la mano di reale

Tabula rasa il cuore

rade al suolo il pudore di un rimorso

Il tuo alibi folle tra le sbarre

non si china a raccogliere

né il sangue

né l’ombra dell’innocenza trucidata

La terra che ci accoglie

si contorce

nella sommaria esecuzione

della somma

dei nostri pochi anni.

Paola Tinchitella © tutti i diritti riservati

16 giugno 2014

“Quel pensiero è arrivato di soppiatto assieme al tam tam di guerra della cronaca nera… le righe accatastate tra i versi sono già lacrime di uno sgomento che non vuole rassegnarsi alla violenza” Think’n’Tell


Tre panchine a Villa Borghese – primo sguardo


(dalla raccolta CRONACHE DELL’ALTRO MONDO)

Paolo trangugia il fine serata in cucina. Lo sguardo annegato in una birra, l’unica birra che beve da tempo immemorabile.

E’ la stessa birra che accompagnava le sue serate con Daria, eppure le sue papille non recepiscono quello stesso sapore e né i suoi pensieri di oggi riescono ad evaporare. La testa resta ancorata, saldamente, alla bottiglia scura e niente ha più la soffice ebbrezza di quelle notti con lei.

Lo sguardo vaga, rastrellando ogni mollica di pane sul tavolo, misurando ogni piastrella, ripulendo ogni macchia d’unto sui fornelli e poi, scavalcando la porta del tinello, si inchioda su un punto del muro antistante.

Sembra che quel muro stia soffrendo tanto e vibra vittima del pianto di un bambino.  Un’enorme crepa si apre sotto il martellare di quelle urla forti ed incessanti… una crepa sul muro e nella coscienza.  Il cuore accelera i battiti e batte in testa un’idea di fuga, e i mille perché senza risposta pungolano la materia grigia.

Si risveglia una consapevolezza, quella  di non essere l’anticonformista che voleva, di essersi calato in una parte di cui non conosce copione e che giorno dopo giorno deve recitare a braccio. Come può un attore, anche il più bravo o il più esperto, calcare il palcoscenico senza conoscere la parte?

Un ruolo ambiguo si è scelto in questo teatrino che è la vita, ma i costumi di scena vanno stretti a chi non ha mai accettato regole e dettami.

Come può uno spirito libero calarsi nella parte di un borghese piccolo piccolo, senza annegare nell’insofferenza al retaggio del convenzionale, del già deciso?

Questo è un sequestro di persona” trasale.

La birra ha portato solo a termine una delle sue missioni e Paolo assecondando i postumi si alza, dirigendosi verso il bagno.

Il pianto del neonato, ora, si fa più lancinante e sembra premere sulla vescica dolente.

Si ricorda, in un istante di lucidità, che quel fagotto urlante è suo figlio, figlio del suo seme e, attraversando il corridoio, si gira verso l’ombra che, nel buio gremito di assordante pianto, allatta.

E’ un presepe vivente immobile nel bel mezzo della stanza… eppure lui non si sente San Giuseppe e nè riesce a cogliere la tridimensionalità di quell’evento. Si limita a guardare come se vedesse un poster, privo della sensazione di appartenere a quel tuttuno e se un brivido di amore verso il cucciolo lo attraversa, lo ricaccia indietro sospettando che un tale pensiero possa diventare un legaccio che lo blocca di più a quella “lei”, appollaiata su una minuscola seggiola, ingrassata e stanca, i capelli riordinati alla rinfusa e fermati sulla nuca.

Sosta obbligata davanti al water e poi torna alla birra e ai ricordi frizzanti abbandonati in cucina.

Quante cose lasciate andare… strada facendo! Ma quale sarebbe stata quella giusta?”

Forse la birra bevuta a casa di Daria? Era la sua birra preferita, della stessa marca di quella che sta ingoiando ora come fosse una medicina scaduta. Era la sua birra doc… solo perché era lei a porgergliela; aveva un altro sapore… il sapore del corpo di Daria e della passione con cui condiva ogni gesto.

Ma in fondo, Daria, non era un corpo di donna come tanti? magari ben fatto, ma pur sempre una donna, una donna come tante, su cui soffermi lo sguardo camminando per la strada…

Aveva un odore quel corpo, che non aveva mai sentito prima, aveva il suo profumo d’autore che inebetiva l’olfatto. Aveva uno sguardo quel viso che non aveva mai incontrato prima. Aveva lo sguardo magnetico di una strega che strangolava il desiderio di distogliere il proprio sguardo. Aveva un sorriso quella bocca, che sembrava illuminare anche il tuo stesso sorriso. Aveva il sorriso di chi si porta un riflesso del sole d’agosto sempre a portata di mano, occultato nella borsa da mare.

Paolo sente che tutto questo è rimasto irrimediabilmente attaccato alla sua pelle. In un attimo il desiderio di una sensualità sepolta torna a galla, come sospinta da una forza malefica.

Ma quale sortilegio sta dannando l’anima?

Il libero arbitrio: con Daria era stato libero di andare e di tornare, mai in catene. Libero di far capricci da bambino e di improvvisarsi uomo navigato.

Libero di amarla e poi di odiarla. Libero di starle vicino e di tenerla a distanza. Libero di annegarla con le parole e di avvilupparla nei suoi silenzi.

Libero di rotolarsi con lei su un prato di fresche risate e di annaffiarla di lacrime di straordinarie prese di coscienza.

“Questa birra fa schifo… è troppo amara!” la guarda come guarderebbe al suo ultimo desiderio un condannato a morte.

‘Basta, basta… basta!’

Si accende una sigaretta, ma non è sufficiente per sentirsi libero in questa notte. Lancia uno sguardo al poster di un presepe mai realizzato e un attimo dopo è per strada. Fruga la notte, a cercare un indirizzo diverso tra crocicchi di convincimenti. Si ritrova in un frammento di tempo seduto sulla panchina del grande parco.

“Perché ho sequestrato alla Vita la mia stessa vita?”

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Tre Panchine a Villa Borghese – terzo sguardo


Loredana è esausta, affranta… i suoi nervi cigolano come le sue mandibole contratte. Quel bambino non ne vuol sapere di star zitto, nonostante il suo latte.

Non molto tempo fa si era sorpresa a credere che la felicità fosse tutta racchiusa nella fertilità della sua giovinezza, nella promessa di un frutto che crescendo l’avrebbe sfamata.

“Sono vecchia invece, triste ed infelice come un anziano che sa di aver un piede nella fossa e si affanna a vivere!”

Un giorno aveva creduto in due cuori ed una capanna. Oggi guarda ad un presepe vivente immobile nel bel mezzo della stanza… eppure lei non si sente Maria e nè riesce a cogliere la tridimensionalità di quell’evento…..

Quel passaggio di Paolo nel corridoio, con lo sguardo angosciato e la porta sbattuta dietro lui, l’aveva fatta sentire in catene, bloccata ai suoi capezzoli prodighi di latte.

Ha amato Paolo in modo sguaiato ed immaturo, e pensava di amare quella vita che doveva arrivare con tutte le sue forze ed ora quelle forze vengono meno.

Il cuore accelera i battiti e batte in testa un’idea di fuga, e i mille perché senza risposta pungolano la materia grigia.

Bacia, più volte, le guance turgide di quel faccino incomprensibilmente arrabbiato,  mentre succhia e sente i suoi seni e tutte le sue carni divenute molli. La sua giovinezza sequestrata dall’ombra di una borghese normalità.

“ Basta, basta… basta!”

La rabbia la rende una fiera in cattività e come in preda ad una fame atavica si lancia sul frigorifero, scarta il cibo aggirandosi con le mani tra involucri e contenitori. Le mandibole nervose a masticare pezzetti di vita smarrita, con l’angoscia di una leonessa in gabbia che sbrana il cibo in un odiato trogolo.

“Questo è un sequestro di persona” trasale.

Ha voglia di scappare, di gridare, di abbandonare quella prigione, ma quel pianto ininterrotto le para davanti il vessillo pesante della responsabilità.

Depone Fabio nella carrozzina.

“Forse una passeggiata lo farà calmare”

Arrivata al parco, siede su una panchina illuminata da un fioco lampione e comincia a ninnarlo.

“Perché ho sequestrato alla Vita la mia stessa vita?”

selezione di racconti tra reale, surreale e iperreale

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Tre panchine a Villa Borghese – veduta totale


Non lontano quel piccolo essere continuando ad urlare incomprensibili vagiti chiede risposte ai suoi inconsapevoli “perché?”.

Su tre panchine diverse di uno stesso parco, vicine e lontane in una stessa vita, tre umani alienati ingoiano la stessa consapevolezza che li ha guidati fin lì… in quello stesso luogo a riprender fiato.

Pensieri, anime e corpi distanti… messi in catene da un unico delitto: Sequestro di persona…lità.

Il testamento astratto, condotto nel becco di un sincronismo malvagio, recita che sarà quel bimbo ignaro, un giorno, a scontarne la pena.

Paola Tinchitella  © tutti i diritti riservati

 

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immagine di copertina di Nevia Martén


DIRE FARE BACIARE LETTERA TESTAMENTO in anteprima a MALDILIBRI


in anteprima DIRE FARE BACIARE LETTERA TESTAMENTO di Paola Tinchitella

RESTAMMO SULLA SOGLIA DEI GIORNI, IN SORDINA IL RUMORE DI FONDO.

Chi entra nel vortice del “gioco” non può venirne fuori senza aver pagato pegno. L’unica conclusione possibile è la scelta del percorso che più si preferisce e nessuno ne uscirà incolume.
Paola Tinchitella lascia che questo gioco si trasformi in un flusso inarrestabile, dove la linea di demarcazione fra realtà e finzione non si riconosce, sfuma insieme a qualsiasi riferimento spazio-temporale e molti di voi si troveranno nel pensiero formulato, nelle gestualità surreali, […] girovagando in una condizione di vita vera che sognava o forse in un sogno che fingeva di vivere.
Il gioco diventa uno spazio onirico incontrollabile perché i binari del sogno non sono mai paralleli. Si incrociano, raggiungendo lo stesso Altrove, che è molto diverso dall’Ovunque: paradossalmente OVUNQUE potrebbe comprendere, nel significato, anche QUI. E allora bisogna allungarsi verso mondi trasversali, fidarsi dei sogni anche se talvolta mutano in incubi, senza temere la notte e tentare di fermala. Il buio è solo una condizione momentanea in cui la luce è assente, ciò non sta ad indicare che la luce sia sparita per sempre, ma solo che per un po’ non la vedremo.
La vita così può essere un distributore automatico di storie, non c’è tempo per pensare, bisogna solo inserire il gettone e scoprire cosa vien fuori. Vivere.

In copertina: Time is life, fotografia di Nevia Màrten
www.facebook.com/specularte

Per info sull’acquisto: commerciale@lerudita.com


APOCALYPSE Recupero Crediti (incipit)


Avevo ignorato il navigatore al ritorno da Roma, il  percorso verso casa era l’unica cosa solida e ormai metabolizzata da dieci anni a questa parte. Il temporale estivo mi scaricò, sul parabrezza, ettolitri su ettolitri di acqua: la mia auto sull’Aurelia, rallentata dalla fila di tante altre, sembrava stesse partecipando a una regata di barchette fatte con i gusci delle noci. Mi sarebbe servito ben altro “navigatore” esperto nel remare!
Il cielo nero, intessuto con fili di nuvole, si contorceva come un tappeto sbattuto da una gigantesca massaia affacciata al cielo e… tuoni ovunque, come percosse di battipanni, a riempire gli intervalli tra uno scroscio e l’altro.Sulla sinistra, in lontananza, scampoli di mare stropicciati come tessuti di seta messi in lavatrice a novanta gradi. Orli di spuma ribelle a bordare una notte di mezza estate e nella mia testa tanti rammendi all’ennesima notte di rimorsi, troppe volte rigirati come vecchi paltò.
Le macchine andavano diradandosi mentre mi avvicinavo a Santa Severa e quando penetrai la strada che portava a casa notai che, a parte le finestre illuminate e il playback della pioggia e dei tuoni, c’erano un silenzio ed un buio surreali. Era evidente che quel tempo maldestro aveva censurato agli abitanti la possibilità di uscire e ai villeggianti pendolari l’opportunità di trascorrere il weekend al mare. Provai la sensazione di un rifugiato naufrago quando imboccai il viottolo che conduceva al piazzale della mia villetta con vista mare. Parcheggiai.
Un bagliore violento, come lampo di fuoco, mi ferì la coda dell’occhio e di lì a poco il rombo strepitante del tuono in coda mi sferzò i timpani.
L’estate sembrava vittima di insolite barbarie, pasticciata da graffiti di nubi spruzzate da teppisti nottambuli, seviziata con scudisci di abbaglianti folgori, ferita da pezzi di silenzio mandati in frantumi da tonanti colpi.

(segue…)

Il  racconto inedito APOCALYPSE appartiene al Progetto/Raccolta “CRONACHE DELL’ALTRO MONDO”- raccolta di racconti nascosti tra le pieghe del plausibile” di Paola Tinchitella


SCRIVILO SUI MURI…


Sembra che tutto sia in trasformazione…tutto… tranne odio e amore, passeggeri di un’idea di permanenza che fin, dalla Creazione,  pervade ogni sentire segnando, con il suo passo, ideologie religiose, politiche, tifoserie… le storie personali e la storia del mondo.

Da Caino ed Abele, l’odio, latitante, inebria le lotte dell’ uomo contro l’ uomo, della fazione contro la fazione, di un regno contro un altro regno, di nazione contro nazione.

Da Adamo ed Eva, l’amore, latente, sconvolge, inebetisce, stordisce, fallisce, nasce e muore, trasformando la storia personale e la storia del mondo.

Allo stesso modo,da sempre, l’uomo lascia tracce permanenti delle sue gesta… di quelle mosse dall’odio e di quelle mosse dall’amore… ne lascia traccia sui muri!

Dai geroglifici ai graffiti, dai primitivi ai graffitari dei nostri giorni, la lotta per la sopravvivenza, per la giustizia, per l’affermazione della propria idea politica, religiosa, filosofica, calcistica, attraversa il tempo “graffiando” i muri!

Dal finestrino invecchiato di un tram vecchio stile sbalza, appena coperto da una gigantesca azzurrissima R, il frammento di un decennio di democrazia malata in una scritta nera su un muro stanco di periferia: “CO ‘STO CALDO CE VOLEVA PROPRIO UN GOVERNO OMBRA!”

Erano gli anni in cui il 68 sembrava già lontano, mesi e mesi, anni ed anni in cui le falangi estreme della destra e della sinistra si ammazzavano per le strade delle città… erano gli anni in cui l’ideologia politica forniva l’alibi per ammazzare uno sconosciuto, solo perchè non aveva le tue stesse idee… e la città sui muri portava i segni delle guerre intestine, quelle tra fazioni, tra falangi estreme, tra “Guelfi e Ghibellini” di nuova generazione… A un passo da quei muri, troppo spesso, mazzi di fiori legati ad un palo, ricordavano che ogni guerra si porta dietro il peso delle sue vittime e del suo piombo.
E lo Stato stava a guardare compiaciuto il popolo che si scannava, mentre continuava a giocare le sue battaglie navali tra pochi eletti e, a tavolino, si divertiva con il suo poker di potere o il suo Risiko di scandali e diplomazia, di macello e massacro, assegnando a guerriglieri confusi le proprie vittime designate.

Nel decennio successivo, la fede politica lascia il passo alla fede da stadio, quella delle tifoserie… l’odio non muore mai, permane… pur nelle sue trasformazioni, translando di luogo in luogo, di cuore in cuore, da classe a classe…

Stessa storia, stessi meccanismi… dalle strade agli stadi, l’estremizzare del tifo è malattia contagiosa e a caratteri cubitali propaga sui muri minacce ed insulti… a volte vestendoli di un sorriso strappato a chi legge.

“ARBITRO CORNUTO SEI SOLO UN RIFIUTO. NON TE SALVA MANCO LA RACCOLTA DIFFERENZIATA”

Ironia dei tempi che spinge il massacro fuori e dentro gli stadi!

ma finchè un popolo si occupa di calcio non ha tempo di occuparsi di altro e allora… perché fermarlo?

In mancanza di fede politica, di fede religiosa, in un’ epoca svuotata di ogni valore e principio, dall’impegno e dal fare, il surrogato offerto dalla fede calcistica serve su un piatto d’argento, il motivo nuovo per perpetrare odio.

La storia prosegue, le vicende si ripetono nelle dinamiche e soprattutto nei risultati.

Travolta da una vita in corsa, percorro in lungo ed in largo pensieri e strade già percorse, con passo veloce… perchè nella mia vita c’è sempre un autobus che sto perdendo. Cammino nella mia città e come pellicole già viste, davanti ai miei occhi, scorrono scritte trafitte da crepe, invecchiate nell’anonimato.

Cammino frettolosa, calpestando i graffiti della nuova era: “PERDONAMI… SEI TUTTA LA MIA VITA…. TI AMERO’ PER SEMPRE”

L’amore di una VALE, di un MATTEO, di una SABRY, al contrario dell’odio, si scrive sui marciapiedi. La gente passa… legge… prosegue… calpesta.

L’ODIO continua a troneggiare sui muri, dominando le strade… L’AMORE si sdraia su un marciapiede… e, come sempre, si lascia calpestare!

Paola Tinchitella © tutti i diritti riservati