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Smarri/mentale


Smarriti i natali
dispersa l’età

esperiti disinganni
dell’esperienza della paura
sono gli inganni

Sei sole e sale dentro gli istanti

Se il tempo fosse solo
senza di te

Se il tempo fosse solo
clessidra da girare
la lascerei immobile

Tempio desolato
immemore dei giorni… per giorni a venire.

Sventrare fittizie lontananze
sventare le mie immobilità
respiri arresi in sospiri mancati
Similvita  di spasimi mentali
necessarie onomatopee
sussurri cancellati
in desideri manomessi

graffianti i compromessi.
Similpelle… la mia
se si nega già al sorriso
d’un giorno sconosciuto
mai investito
su incidenti di parole accidentali

Vorrei negare me e l’essere inscindibile
implicito nel legame… l’essere in te
Lacrime a lavarti
quando l’averti non m’appartiene
Smarriti i natali in mobili terre
dispersi i ruoli tra nuvole di te
inconsapevoli distanze
arretrano vicine
conto il battito d’ali
d’essenza in volo
plasmando l’aria… fremo di te.
Paola Tinchitella © tutti i diritti


La sdraio…


la-solitudine by Liliana Russo

Il cielo comunica un’altra estate, scomunicata già la primavera… Troppo di tutto. Troppi odori, troppi fiori, troppo ciarlare di abiti svolazzanti per pubblicizzare brezze irriverenti. Un ventilatore può offrire lo stesso servizio, senza solleticare il cuore. Luglio è il mese del ventilatore e del condizionamento, te lo offrono tutti i depliant e sempre a buon mercato, senza interessi sulle rate e senza “condizioni”. L’estate è piombo rovente. Davvero mi ero convinta non sarebbe più tornata. Un gabbiano urla sulla mia testa o forse è una cicogna. Al momento, pensare che sia un gabbiano, mi fa più comodo: la pesante metafora che si porta nel fardello una cicogna mi potrebbe far credere che qualcosa ancora è possibile… ma ora non posso e non voglio. Luglio ha solo un difetto, si chiama Notte di San Lorenzo ed è lì che, in un buio solido, che non fa paura, la gente raccoglie con cucchiaiate di sguardi pezzi di notte per scovarci la caduta di una stella. Sadici o romantici? Entrambi, con le varianti necessarie dettate dal caso… e da chi occupa la sdraio al suo fianco.

C’è una sdraio al mio fianco vuota anzi svuotata. L’ultimo Schopenahuer che si era sdraiato all’ombra di una notte stanca, aveva creduto che io volessi riempirla con qualcuno a tutti i costi. Illuso. Una sdraio ha la sua consistenza e la sua essenza materiale ed immateriale, ha un suo copione ed una sua presunzione. Quella di saper interpretare ottimamente il suo stato e di poter governare lo stato altrui. Pertanto non chiunque starà comodo sulla stessa sdraio. E’ richiesto spirito di adattamento e capacità di discernere il proprio ruolo e quello dell’oggetto che si va a colmare. Ruoli complementari e la comodità o scomodità ne è la conseguenza.

Personaggi scomodi se ne incontrano in tutti i mesi dell’anno, la raccolta e la vendemmia di certuni non riguarda un periodo ma un attimo contingente. E considerato che un anno raccoglie in sé un numero notevole di attimi, e solo quattro stagioni, le statistiche potrebbero andare in tilt, per questo evitiamo di menzionarle… Non sarebbero attendibili.

Schopen Hauer era in rotta con l’universo umano. Tutte le teorie da rifare. Persino i filosofi che amava li avrebbe volentieri revisionati, anche senza argomentazioni, anche in piena contraddizione di se stesso. L’uomo non avrebbe dovuto esistere ed io mi chiedevo come mai lui si tenesse ancora in vita, forse per seguire i reality, dove si scopiazza la vita? Tollerava questo o quello a fasi alterne, a malapena riconobbe me degna in una delle sue fasi nascenti. Aveva preso una bella lezione dal suo predecessore che s’era circondato di “discepoli” verso la fine del suo percorso e cercava di garantirsi una seguace vera e malleabile, resistente ai suoi attacchi e alle sue gratuite crudeltà. Illuso. Misantropi e misogini, possono garantirsi solo la marmellata di quel che potrebbe essere un frutto maturo. Mai addentare la polpa. Potranno scrutare, a debita distanza perché fa parte del loro destino mantenersi lontani dal sentire, e cercare nel barattolo sigillato il ricordo di futuro impossibilitato a divenire tale, stando attenti a non aprirne la confezione: non si sa mai cosa potrebbe accadere in presenza di conservanti o derivati.

Sbraitava nel suo ieratico silenzio.

Da brava discepola ho imparato molto da questa rabbia e presunzione d’odio, ho imparato che sognare continua ad essere l’unico modo per non finire come loro, che il sogno dà tregua e non è necessario come il reale… Non devi sfuggirlo, come il destino, perché non risponde mai al compromesso azione-reazione. Si muove random e non ti devi adattare alle sue leggi perché un attimo dopo, al risveglio, già non sarebbero più valide. In essi le stagioni non hanno la sequenzialità cui ti costringe la vita qui fuori.

L’estate è un ricordo rovente, davvero mi ero convinta non sarebbe più tornato questo brivido letargico. Una cicogna urla sulla mia testa o forse è un gabbiano. E’ irrilevante, conta solo il fatto che c’è qualcosa al di sopra di questa cappa in fiamme che riesce a volare.

Mi giro verso l’ombra di Schopen Hauer distesa sulla sdraio svuotata… allungo la mano verso il cielo ed ogni stella di luce tagliente resta lì al suo posto e non sembra aver intenzione di atterrare.

Provo tenerezza per quel ricordo distante anni luce e un attimo dopo una fitta di sgomento.

“Nostalgie genuflesse ad un ricordo… idolatria della speranza, questa pazza illusione che si crede immortale solo perchè hanno diagnosticato per lei che debba essere l’ultima a morire. Qui la speranza giace addormentata da mille anni. A lei questo epitaffio”

Paola Tinchitella – Stagioni – tutti i diritti riservati


Affittasi


Stavo per suonare… ma non servì. Quel ragazzo mi squadró, mi fece un complimento sottovoce e poi, in un’acrobazia da fermo, fece spalancare il portone e scomparve dietro un rimbalzo del sole tra vetro e metallo…

Entrai titubante mentre lui, sulle scale, continuava a tubare con gli occhi nella mia direzione. Salì fischiettando un motivetto e ricordai il motivo per cui ero inciampata in quella mattina perdigiorno, su quel pianerottolo… Mi girai per rincorrere quei tre gradini, scendere e raggiungere la causa della mia presenza lì.

Me la trovai di fronte quella piccola donna… con un sorriso soddisfatto…

Mi chiesi se era appartenuta anche al mio viso quell’espressione stralunata da cavallo quasi vincente ad un passo dalla perdita e dal perdersi, mi chiesi se quello sguardo imbecille fosse stato mio nei mesi precedenti… me ne vergognai… E mi vergognai anche della sicurezza con cui quella mia simile affrontava i gradini… la scivolata è uno dei rischi maggiori quando si sta ad un metro da terra, la caduta può essere fatale…

Coincidenze accidentali, incidente incrociato. Suonai. Suonai. Suonai.

Nessuno… la porta non si apriva. Giurerei di averla vista aprirsi per far uscire lei…

Suonai di nuovo. Silenzio ed immobilità. Morte, fine, addio. Sigillato l’inverno, murato vivo… davanti ad un germoglio di sole di un modesto marzo.

Sentii il ragazzo sconosciuto scendere le scale, lo stesso giro di danza… e mi disse fuori c’è il sole e spalancò il portone. Sorrise. Sorrisi.

La vita di quel vicolo mi sveglió, l’asfalto più in là ringhió sotto le ruote di una messa in moto.

La vita continua… basta solo accettare l’idea che venga tagliata a pezzi, a volte ti mangia cruda e a volte ti cuoce a puntino, a volte ti brucia… e i resti nel secchio. Vale per me, vale per lei, vale per lo sconosciuto, vale per la sconosciuta, vale per chi ha aperto e vale per chi ha chiuso.

Affisso sul muro un cartello…

Affittasi by Paola Tinchitella


MISERERE…


Povera arte
massacrata dai troppi click
del macete sanguinante
di un mouse selvaggio,
serrato tra le mani incolte
del successo di un istante.

Povera arte
ammuffita dentro versi
inchiodati
ad uno stato in luogo
mascherato
da moto a luogo
di un nuovo carnevale.

Povera arte
archiviata in erronei scaffali
di mistificate classifiche
per lasciarsi impolverare
dalle mendaci verità
di mendicanti mentori.

Povera arte
addestrata da nuovi dittatori
resuscitati dalla sconfitta
della loro antica onestà,
falciata dal boomerang
di dimenticati versi
saturi di giustizia e libertà.

Povera arte
resa digiuna da altre
infamanti fami,
bulimica,
anoressica,
cannibale assassina
del suo valore intrinseco,
carnivora saziata
da estrinseche mediocrità.

Povera arte
depredata di emozioni viscerali
da mecenati prezzolati
dissetati dalla bevanda aspra
della loro stessa bava,
povera arte
avvelenata dalla mescita di bibite
confezionate già scadute
dalla lingua biforcuta
di sofisticate manipolazioni.

Miserere nobis…

Paola Tinchitella©tutti i diritti riservati


Chiavi… al di là… di noi


chiave di burn-out di Paola Tinchitella

La chiave di Burn-out è denuncia…

Il suono che si interrompe dentro noi… Bruciarsi, ridursi alla radice quadrata del FA-RE (due note, fatalmente, verbo)… dove il numero 2 (quadrata) indica il sentirsi responsabili per due: per se stessi e per un altro di cui ci si fa carico o cui ci si lega… e la paura di non riuscire a farcela, la paura di crollare, di bruciarsi, di fallire… di non essere all’altezza del compito che ci siamo assegnati o che ci hanno assegnato. La sintesi di un binomio, l’analisi di una simbiosi… qualche volta tradisce ogni pianificazione. La chiave di violino sarebbe già musica… la chiave di burn-out è silenzio che uccide.

Dove risiede la chiave che risolve? Nel restare uno nella comunione, se stessi sempre, accogliere l’ospite con amore ma senza aspettative, fare per amore e mai fare per vedere risultati… Difficile perchè umano è errare, confondersi, bruciarsi… umano è essere fragili, umano è amare e disumano amare troppo un altro che non ha imparato ad amare e a dedicarsi all’onestà di intenti.

Paola Tinchitella – tutti i diritti riservati vietata la riproduzione di immagini e prosa


Com-Ire


Comizi
su piani di cuore
piazze aperte
su brusii di pensieri
deliri accalcati
su strati di mente
e a destra
e a sinistra
folle di speranze ancestrali
disperse.

Promesse
di emozioni migliori
come incentivi ai salari
di una magra ratio
e…
al centro
un invadente presente
coagulato nel foro
dell’ultimo proiettile
che trapassando i giorni
ci ha perforato.

Comizi d’amore
in razioni di niente
urlati in sordina
soldati in trincee
d’ataviche accettazioni
incosciente adattamento
al peso di eredità
abitudinarie
di tramandate tradizioni…

Cultura obsoleta
paura di ag-ire
matita che disegna
invalicabile muraglia
icone in mattoni
gli sguardi uccisi
infilzati da bandiere
di un quieto vivere
e quel po’ di pace…
che olezza la fine.

Paola Tinchitella© tutti i diritti riservati

9 luglio 2009


Consecutio Temporum di P. Tinchitella e M. Seduta


CONSECUTIO TEMPORUM from Paola Tinchitella on Vimeo.

La consecutio temporum in latino regola il rapporto dei tempi verbali all’interno di più preposizioni, rispettando i rapporti intercorrenti tra reggente e subordinata e contempla le diverse possibilità tra una dipendente e la sua reggente; i tempi si modificano ed adeguano in relazione alla natura del tempo storico principale, indicandone la contemporaneità e/o la posteriorità.
Il gioco artistico, voluto dagli autori, sta nell’applicare alle diverse scene la consecutio temporum, considerandole come preposizioni da mettere in relazione dove la principale resta integra e le subordinate si legano ad essa indicandone contemporaneità e posteriorità al tempo stesso.
Manipolando ulteriormente il concetto della consecutio, imprimendo al titolo uno svuotamento del significato primario delle parole, plasmandole di altro senso, e raccogliendo sequenze ossessive di atti di un presente comune si oltrepassa la stessa regola, approdando su altro terreno che contempla “le conseguenze del tempo”. Si materializza un insieme di attività e processi formati da un numero indeterminato di meccanismi associati, in modo sequenziale, la normalità di gesti vissuti nel presente quotidiano diventa anomalia insopportabile se protratta nel tempo e assunta in maniera meccanica.
La ripetizione ossessiva di un’immagine, anche la più importante e significativa, provoca uno svuotamento di valore della stessa. Se poi la ripetitività di immagini contiene in sè la ripetizione ossessiva di gesti, assimilati nel quotidiano vivere, si può arrivare a dimostrare lo svuotamento di valore di ogni gesto compiuto. L’automatismo di atti compiuti, senza nemmeno più la coscienza di eseguirli, azzera gli stessi di potenza vitale appesantendoli altresì di non-vita.

Il concept trova nell’applicazione al video del collage e del decollage, tipici della tecnica pittorica, un’ulteriore potenza.
Il processo, per cui in alcune sequenze si aggiungono elementi, in altre al contrario vengono sottratte parti, amplifica lo studio concettuale circa una realtà alienante, che ci appartiene, che ci rende robotici, ci devasta svuotando di senso ogni azione, eliminando finanche il processo azione-reazione, riducendo tutto ad un processo elementare che si priva della stessa finalità immediata che normalmente contraddistingue un meccanismo.
Il video conduce in sé un’azione sistematica, ripetitiva, lacerante… inavvertita dal soggetto protagonista, che subdolamente scaverà fino alla fine.

La realizzazione del video è avvenuta in 14 ore consecutive per ottenere una stanchezza oggettivamente reale da parte della performer al fine di evidenziare un malessere psicofisico generato dall’intento trascodificato in atti performativi. Nell’intento di rappresentare il mancato processo di una verità inglobata ma mai metabolizzata viene palesato in alcuni punti l’utilizzo di effetti sonori marcatori che segnano il riacutizzarsi di un percorso preimpostato dalle abitudini.